28.9.07

 

«Donna, migrante, single e con figli»


La Caritas fotografa i nuovi poveri

Ha il volto di una donna straniera, età 40 anni, sposata con figli e disoccupata, l'identikit dei nuovi poveri che chiedono aiuto ai 63 centri di ascolto della Caritas Ambrosiana. I loro problemi più frequenti: lavoro, soldi e casa.

"Si tratta di persone che manifestano disagi che coinvolgono l'intero nucleo familiare", afferma don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana, che ha presentato questa mattina il VI Rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano (che comprende anche le province di Varese, Lecco e una parte di quella di Como; ndr).

La metà delle persone che si sono presentate ad un centro di ascolto ha un'età fra i 25 e i 54 anni e il 69,1% sono donne. Ai centri di ascolto chiedono un lavoro, oppure un'integrazione al loro reddito o un aiuto a trovare una casa. Il 60% delle persone aiutate risulta disoccupata. Nei centri di ascolto hanno trovato anche alimentari, buoni mensa, vestiario, prodotti per neonati. Sono sempre più numerose le famiglie che non riescono a tirare fino alla fine del mese. Da maggio 2004 a marzo 2007, i Centri di ascolto Caritas hanno rilasciato 579 copie di "Carta equa", con la quale possono andare a fare la spesa gratis (fino ad un ammontare prestabilito; ndr) nei supermercati Coop. L'età media di chi ha chiesto Carta equa è di 45 anni, quasi due su tre sono donne e la maggior parte, in questo caso, sono italiane. (Redattore Sociale)

(Liberazione.it, 27.9.07)

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25.9.07

 

Il matrimonio non consente l'accesso indiscriminato al corpo della moglie


L'antico diritto di completa disposizione del corpo della moglie da parte del marito, insito nel matrimonio monogamico (solo per la donna), pare definitivamente tramontato, grazie alla lotta delle donne. Rimane ancora da combattere ed eliminare la piaga del lavoro a domicilio e quello di cura, gratuiti.

Ecco la notizia.

Non si puo' esigere dal partner, sia all'interno del matrimonio o di una convivenza, 'un diritto all'amplesso'. Lo sottolinea la Cassazione. La Suprema corte ha confermato la condanna per violenza sessuale ad un marito che aveva costretto la moglie ad avere un rapporto sessuale. E' stata quindi respinta la tesi di un calabrese in base alla quale nell'ambito di una coppia e' da ritenersi che ci sia sempre 'un consenso putativo' per il partner al rapporto sessuale.

E' quanto ricorda la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 35408/2007) che ha così confermato la condanna a 4 anni di reclusione nei confronti di un "esuberante" marito che aveva più volte costretto la moglie a subire rapporti sessuali contro la sua volontà.

Secondo i giudici, si deve considerare violenza sessuale "qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idonea ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, a nulla rilevando l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti". Nel caso esaminato dalla Corte l'apparente assenso al rapporto era dovuto al fatto che la donna "non aveva altra scelta che tentare di assecondarlo volta per volta, evitando di suscitare in lui ulteriori occasioni di ira gia' avutesi in passato".

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21.9.07

 

Divorzi boom. E lui torna dai genitori


Otto università analizzano la crescente instabilità della società italiana. Nel giro di dieci anni i fallimenti coniugali sono quasi raddoppiati. Uno su cinque di nuovo nella vecchia famiglia. (Caterina Pasolini)

Torno a casa, torno a vivere con mammà. Non è una minaccia, una promessa, una battuta da commedia all'italiana ma una realtà complessa sempre più diffusa in un Italia dove una coppia su quattro finisce in frantumi. Nel paese dove negli ultimi dieci anni il numero di separazione è divorzi è quasi raddoppiato, più del 20 per cento degli uomini con un matrimonio alle spalle rientra a vivere nella famiglia originaria. Quella, dicono le statistiche, che tra tutti gli europei è stato l'ultimo a lasciare per la difficoltà di trovare un lavoro che gli consentisse di mantenersi. Ormai trentenne, ben che vada, diventa autonomo: spesso però dura poco. Ancora una volta per soldi e per affetto, per cultura ma soprattutto per risolvere difficoltà economiche la vecchia generazione regge il paese. "La famiglia di origine si ritrova a fare da cuscinetto, a sopperire alle mancanze del welfare. In Italia c'è ancora una solidarietà generazionale, legami familiari forti e così se le femmine separate e in difficoltà vengono aiutate economicamente, i maschi tornano dai genitori quando si ritrovano senza casa, spesso assegnata a moglie e figli, e tra assegno di mantenimento e nuove spese non hanno soldi per trovare alloggio". A fare questa analisi è il professor Massimo Livi Bacci, demografo, accademico dei Lincei, sposato da 44 anni, che ha coordinato un convegno che ha visto otto università italiane lavorare sull'Italia delle separazioni e dei divorzi. Raccontare la crescente "instabilità familiare", cercare cause, intravedere conseguenze demografiche, economiche e sociali.

Una fotografia del paese che cambia, tra uomini che tornano dai genitori e donne che lavorano sempre di più e sempre più spesso si separano "non più disposte a prolungare un matrimonio infelice". Tra figli che inizialmente subiscono i contraccolpi (depressione, problemi scolastici) della crisi ma che nell'89% dei casi preferiscono genitori separati piuttosto che infelici e pensano sia giusto (87%) che padre e madre si costruiscano una nuova famiglia. Storie sempre più comuni, realtà quotidiane non più eccezioni da ricchi. Lo dicono i numeri tra: il '95 e il 2005 le separazioni sono passate da 51mila a 83mila, i divorzi da 27mila a 47mila. Più frequenti nelle regioni in cui il 50 % delle donne ha un'occupazione. In Italia, anche se non siamo ai livelli europei dove un matrimonio su due si spezza, stiamo assistendo ad una "democratizzazione delle separazioni", analizzano gli esperti. Non è più solo un fenomeno che interessa classi agiate, con buoni titoli di studio e lavori ben remunerati, è una realtà in crescita trasversale in tutti gli strati della popolazione. "E questo pone un problema: si assiste a un generale impoverimento perché la coppia divisa ha maggiori spese, minor potere di acquisto e quindi c'è il problema della difesa delle fasce più deboli, delle madri single, dei figli di separati che ormai sono l'otto per cento dei ragazzi tra i 10 e i 15 anni", dice la professore Letizia Mencarini del dipartimento di demografia dell'università di Firenze. L'Italia, sostiene, è impreparata ad affrontare i problemi legati all'aumento delle separazioni, all'impoverimento di larghi strati della popolazione. Troppo alti, sottolinea, persino i costi di una separazione che, se conflittuale costa sui 15mila euro. E a quanto raccontano magistrati e avvocati specializzati in diritto di famiglia, si sta assistendo ad una vera "esplosione di conflittualità" tra ex coniugi nonostante la legge sull'affido condiviso dei figli.

Separazioni e divorzi hanno poi un peso molto diverso sui due ex partner, secondo le caratteristiche della società nella quale vivono, le leggi, gli aiuti alle famiglie monoparentali e ai più deboli. Da uno studio europeo risulta però che ovunque a pagare di più sono comunque le donne, a subire gli effetti economici negativi sono loro, più colpite nei paesi mediterranei e conservatori rispetto alle nazioni scandinave e socialdemocratiche con welfare funzionanti. Ma chi è la donna ad alto rischio di separazione? I risultati di una ricerca dicono che sono quelle nate nei decenni più recenti, con esperienze di divorzio in famiglia, che si sono sposate giovani col rito civile, vivono al centro e al nord, hanno un titolo di studio e un esperienza di convivenza prematrimoniale. Una volta separate solo un quarto forma una nuova coppia. Se vive al nord e senza figli ha il doppio di probabilità di una coetanea del centro, cinque volte di più di una con bambini che vive al sud. I figli di separati, secondo un'altra indagine presentata al convegno, hanno un approccio alla vita meno idealista e più pragmatico rispetto ha chi ha i genitori uniti. Sono ragazzi con una maggiore propensione alla convivenza ma non rifiutano il matrimonio, vissuto come una seconda tappa come se avessero elaborato e non subito l'esperienza dei genitori. E di casa escono non per sposarsi ma per andare a convivere, studiare o semplice desiderio di autonomia.

(Repubblica.it, 21 settembre 2007)

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20.9.07

 

Spetta alle donne decidere se fare o non fare figli


Gb, sterilizzazione come anticoncezionale


Ogni anno circa 40 mila donne si sottopongono all'occlusione delle tube di Falloppio. Il racconto di tre «mai mamme» al Daily Mail. (Simona Marchetti)

Farsi sterilizzare come scelta contraccettiva. Sono in aumento le giovani inglesi sotto i 30 che si sottopongono all'intervento, certe di non volere bambini. Lo rivelano i dati del Servizio Sanitario di Sua Maestà (NHS) e una ricerca svolta dalla «Marie Stopes International», che si occupa di problematiche legate al sesso e alla riproduzione femminile. Stando ai risultati, ogni anno circa 40 mila donne sceglierebbero la via della sterilizzazione (ovvero, l’occlusione delle tube), mentre rispetto all’anno scorso, nella sola Inghilterra si è registrato un incremento dell’1% nel numero di interventi privati di ragazze non ancora trentenni. Una pratica inconcepibile per chi ha già un figlio o ne è alla disperata ricerca. Eppure c’è chi l’ha fatto e non ne è per niente pentita, come hanno raccontato tre giovani «mai mamme» al Daily Mail.

NIENTE BAMBOLE - «Fin da bambina sapevo che non avrei mai voluto figli – ha raccontato Charlie McCann, una single del Dorset che si è «regalata» l’intervento per i suoi trent’anni – perché non mi è mai piaciuto giocare con le bambole. Mi ricordo che avevo circa 7 anni e un giorno lo annunciai ai miei amichetti, dicendo che non mi sarei mai sposata e non avrei mai avuto figli. Crescendo, tutti mi dicevano "mai dire mai", ma io ero convinta e la prima volta che mi sono informata sulle procedure per la sterilizzazione avevo 21 anni. Peccato che il medico da cui andai mi rise in faccia, dicendomi che ero troppo giovane per decidere». Per legge, i dottori rifiutano di praticare la sterilizzazione alle donne al di sotto dei trent’anni o a chi non ha già un figlio, mentre andando privatamente non ci sono remore morali: basta pagare 1200 sterline (circa 1700 euro).

L'INTERVENTO - Ma Charlie, oggi 34enne, all’epoca non poteva permettersi un tale esborso, è così ha aspettato di spegnere la trentesima candelina prima di andare sotto i ferri, con il placet del servizio sanitario nazionale e della madre Frances. E pensare che cinque anni fa era stata la stessa ragazza ad assistere la sorella maggiore al momento del parto della secondogenita, tagliando addirittura il cordone ombelicale. «È stato bello assistere alla nascita di mia nipote – ha spiegato ancora Charlie – ma il mio istinto materno è rimasto a zero». L’intervento di chiusura delle tube di Falloppio dura in genere 45 minuti in anestesia generale: le tube vengono bloccate in modo che ovulo e spermatozoo non possano incontrarsi. Il «blocco» si può attuare ponendo fasce o clip sulle due condutture, legandole e tagliandole, o persino applicando della corrente elettrica per riscaldarle e bloccarle con cicatrici.

RIPRISTINO - Sebbene non completamente irreversibile, l’operazione di ripristino può essere molto costosa e problematica, oltre ad avere fra il 65 e il 95% di possibilità di riuscita. Ma Charlie non ha alcuna intenzione di tornare indietro: «Malgrado mi svegliassi piangendo per il dolore e abbia avuto crampi terribili per sei settimane, non ho mai rimpianto neanche per un minuto la mia scelta. Alcune mie amiche si sono sentite offese per la mia decisione, ma non mi considero una persona crudele solo perché la nostra società non può accettare che una donna decida di non avere figli. Se io non giudico chi li ha, perché gli altri dovrebbero giudicare me?». La pensa allo stesso modo Justine James, una ventottenne del Kent che sette anni fa si è fatta sterilizzare in una clinica privata. «Non mi sono mai piaciuti i bambini e non mi è mai piaciuto averli in giro, così perché non avrei dovuto farlo? All’epoca, il mio compagno mi appoggiò in pieno e noi abbiamo rotto solo diversi anni dopo, quando la relazione aveva ormai fatto il suo corso. Ho raccontato della mia operazione anche al mio attuale partner e l’ha accettata subito, anche perché nemmeno lui vuole figli. E pure i miei genitori, malgrado sia figlia unica, mi hanno sostenuto, perché la loro unica preoccupazione è che io sia felice e io lo sono davvero».

MONDO SOVRAPPOPOLATO - A differenza di Justine e come già per Charlie, anche Sarah McIntryre ha dovuto aspettare di scollinare i trenta prima di farsi chiudere le tube, perché non poteva permettersi di pagare l’intervento privatamente. Oggi, che di anni ne ha 33, la ragazza non potrebbe essere più soddisfatta della drastica soluzione, anche se la sua esperienza è stata molto diversa da quella delle altre due ragazze: «Quand’ero una stupida teenager rimasi incinta del mio ragazzo, ma non lo dissi a nessuno e al quinto mese ebbi un aborto che mi fece andare in travaglio. Fu un’esperienza traumatica che ha rafforzato la mia idea di non volerla mai più ripetere in futuro. Le mie due sorelle e mio fratello hanno tutti dei bambini, ma io sono arrivata alla conclusione che la maternità non faccia per me. E credo anche che ci siano motivazioni sociologiche nel fatto di non avere figli: perché far nascere bambini in questo mondo già sovrappopolato, quando stiamo facendo di tutto per rovinarlo? E perché dovrei esporre mio figlio al rischio della droga e delle armi?».

DISAPPROVAZIONE - I legittimi dubbi di Sarah sembrano però scandalizzare ancora l’opinione pubblica, come ha sottolineato Annily Campbell nel suo «Childfree and Sterilised» («Senza figli e sterilizzate»): «Malgrado le donne stiano prendendo sempre più coraggio e siano disposte ad ammettere di non volere figli, la società moderna è meno disponibile ad accettare la cosa. Avere o non avere dei figli dovrebbe essere una scelta paritetica, ma non è affatto così, perché nel primo caso si ha la benedizione incondizionata, mentre nel secondo si viene solamente disapprovati».

(Corriere della sera, 20 settembre 2007)

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Taranto, violentata dal branco, con la complicità dell'ex-fidanzato


Hanno abusato di lei in cinque per punirla di aver interrotto la relazione. A lungo ha taciuto terrorizzata dalla minacce. Poi un'amica l'ha convinta a parlare

Violentata dal branco: cinque arresti a Taranto. Nel branco che l'ha violentata c'era anche l'ex fidanzato: voleva punirla d'averlo lasciato. Ha chiamato i suoi tre fratelli e un amico; l'hanno stuprata in cinque, in un casolare alla periferia di San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto. Lei è una contadina di trent'anni. L'hanno trascinata via mentre stava andando a lavorare nei campi.

Per cinque mesi ha taciuto, terrorizzata dalle minacce di quei bruti. Ma ieri ha confidato il suo dolore ai carabinieri e con l'accusa di sequestro di persona e violenza sessuale, tutti e cinque i suoi aguzzini sono finiti in carcere. E' stata un'amica a convincere la vittima che era giusto denunciare la violenza: tacere sarebbe stato come essere violentata una volta ancora. Ma lei aveva paura: l'ex fidanzato e i suoi compari l'avevano minacciata e le avevano anche incendiato l'auto per rendere più credibile le intimidazioni. Si è sfogata solo oggi, cinque mesi dopo la violenza: ha fatto nomi e cognomi, indicato il luogo della violenza e raccontato ogni momento di quel drammatico 4 maggio: "Mi hanno costretta a salire su un'auto e mi hanno portata in un casolare. Mi hanno immobilizzata e passata di mano in mano. Mi dissero che sarei morta se avessi parlato".

Gli arrestati sono braccianti agricoli di un'età compresa tra i 24 e i 36 anni. Due di loro erano stati arrestati nel 1998 con l'accusa di aver violentato un ragazzo di 21 anni affetto da deficit mentale. Abusarono di lui sul terrazzino di un'abitazione; per quei fatti, la vittima arrivò ad un passo dal suicidio. All'epoca dei fatti, Giampiero, che ha già scontato una condanna definitiva, era ancora minorenne.

(Repubblica.it, 19.9.07)

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18.9.07

 

Due donne s'incatenano al Tribunale. "Il nostro ex ci perseguita, arrestatelo"


Mobilitiamoci contro la violenza di genere

Trento, sono state più volte molestate dall'uomo. Una settimana fa ha incendiato la casa di uno di loro. Arrestato, subito liberato. "Insufficiente la misura dell'obbligo di soggiorno in un'altra città". In agosto a Sanremo il caso di Luca Delfino.

Non vogliono fare la fine di Maria Antonietta e non vogliono un nuovo caso-Delfino. Chiedono di poter vivere sicure. E che la legge le garantisca da un fidanzato che ha già superato da un pezzo la molestia e l'insistenza(1). Tanto per dirne una, è un ex fidanzato che ha già bruciato la casa di una di loro. Per questo oggi due donne trentine, accomunate dal fatto di essere ex fidanzate di un uomo che continua a terrorizzarle, si sono incatenate davanti al tribunale di Trento: vogliono parlare con il magistrato che ha fatto scarcerare l'uomo e chiedere protezione alle istituzioni. L'uomo si chiama Silvano Schintu, attualmente lavora a Trieste dove ha l'obbligo di dimora dopo essere stato arrestato la settimana scorsa per l'incendio. Il giorno dopo però è stato scarcerato e le donne, Maria Elide Bondioli e Flavia Marchi, hanno paura. Entrambe hanno avuto in passato una relazione con Schintu: mesi terribili, raccontano, segnati da violenze fisiche e morali. L'ultima minaccia risale alla scorsa settimana: l'uomo ha dato fuoco all'appartamento di Flavia Marchi in via Zara a Trento. I vigili del fuoco hanno spento rapidamente le fiamme, ma i danni sono notevoli. Fermato dalla polizia, Schintu è stato portato in carcere, ma il giorno dopo è stato rilasciato. "Ma cosa deve fare, ammazzarci, prima che si accorgano di noi?" hanno detto le donne per le quali l'obbligo di soggiorno a Trieste non è in alcun modo una garanzia per la loro incolumità fisica. "Noi prigioniere della violenza che subiamo, Schintu Silvano libero", hanno scritto su un cartello esposto sulle scale del tribunale.

La protesta per ora ha ottenuto un risultato: un incontro con il vicequestore e uno con l'assessore provinciale alle politiche sociali. Il fatto è che il codice penale non ha gli strumenti per garantire l'incolumità di donne che sono perseguitate e molestate da fidanzati insistenti e aggressivi. La molestia e la minaccia, se anche diventano reali e non solo verbali, fisiche e non solo psicologiche, non sono punite con efficacia e con il tempismo necessario. In agosto una donna, Maria Antonietta Multari, 34 anni, è stata accoltellata e uccisa in strada a Sanremo da un ex fidanzato respinto, Luca Delfino. L'uomo era recidivo in quanto il principale sospettato dell'omicidio di Luciana Biggi, avvenuto un anno prima, un'altra sua ex da cui era stato respinto. Solo che la procura non aveva prove sufficienti per arrestarlo. Delfino, così, era a piede libero. E un anno dopo ha ucciso di nuovo. Nonostante le polemiche, la scelta della procura di non arrestarlo è stata giudicata in linea con gli indizi a disposizione e il codice penale.

(Repubblica online, 18 settembre 2007)
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(1) La legge, cioè l'attuale stato borghese-patriarcale, non potrà mai garantire le donne dalla violenza di genere. La vera garanzia risiede nella lotta autonoma delle donne (organizzazione, autodifesa, mobilitazione, ecc.) contro la violenza maschile, il capitale e il suo stato. Ciò non significa che sia inutile, nell'ambito di questa lotta, proporre e sostenere una legge speciale contro la violenza di genere (del tipo ad es. di quella spagnola). Anzi, potrebbe essere un primo obbiettivo aggregante e mobilitativo.

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12.9.07

 

Le donne continuano a guadagnare meno degli uomini


Le donne, a parità di lavoro, guadagnano molto meno degli uomini. E la differenza retributiva è in media del 23%, con un'oscillazione che va dal 15% a oltre il 40% per le libere professioni e i ruoli di vertice. Lo rivelano, ma sarebbe più corretto dire lo confermano, alcune indagini promosse dal ministero del Lavoro, che saranno presentate a ottobre. Le indagini mostrano come la differenza riguardi tutta Italia, tutti i settori e tutte le professioni: a parità di qualifica professionale e di ore lavorate le donne percepiscono salari inferiori a quelli degli uomini. In media, il guadagno netto annuo delle donne è inferiore rispetto a quello dei maschi di 3.800 euro per i dipendenti a tempo indeterminato, ma può uperare i 10 mila euro per i lavori autonomi. Gli uomini hanno in media redditi superiori rispetto a quelli delle donne in tutte le forme contrattuali: del 23% nel lavoro dipendente, 24% per le collaborazioni, mentre in quello autonomo il differenziale sale al 40%.

Il tema delle discriminazioni retributive, ha sottolineato il sottosegretario al ministero del Lavoro Rosa Rinaldi, non è «una patologia dei lavori più umili e meno qualificati, bensì dell'intero sistema produttivo e professionale, nel privato come nel pubblico e non esclude neppure il terzo settore e quelle produzioni per il welfare sociale, che parrebbero rispondere meno alle logiche di mercato e per il mercato».

(Il Messaggero, 11.9.07)

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4.9.07

 

«Scartano» le femmine, Cina e India paesi di scapoli


Se il controllo delle nascite fa bene all'ambiente, ma non alle donne


Grazie alla politica del figlio unico la Cina in un quarto di secolo ha «evitato» 300 milioni di nascite, l'equivalente della popolazione degli Stati Uniti. E poiché ogni bipede produce mediamente 4,2 tonnellate di andride carbonica l'anno, nel 2005 la Cina ha «evitato» al pianeta l'emissione di 1,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Dunque, invece di puntare il dito contro di noi, ringraziateci. Ha detto più o meno così Su Wei, capodelegazione cinese ai colloqui sul clima terminati ieri a Vienna. (Manuela Cartosio)

Il calcolo aritmetico-ambientale non fa una grinza. Su Wei, però, ha «evitato» in quella sede di ricordare gli effetti collaterali negativi della politica coercitiva del figlio unico, varata da Pechino alla fine degli anni Settanta. Il più drammatico è la rarefazione delle donne, l'abnorme squilibrio di genere che condanna la Cina a essere sempre più un «paese di scapoli» per scarsità di mogli. Fenomeno ultranoto su cui la scorsa settimana il governo cinese ha rilanciato l'allarme: nel 2020, stando alle proiezioni, i maschi in età matrimoniale supereranno le femmine di ben 30 milioni. La forbice alla nascita invece di stringersi si è allarga (119 maschi contro 100 femmine nel 2005). Gli incentivi (bonus, scuole gratis) promessi da alcune amministrazioni locali per convincere le coppie ad accettare un nascituro femmina non hanno scalfito la cultura patriarcale. Sono i maschi a trasmettere il nome di famiglia - in Cina i cognomi sono poco più di 300 e precedono il nome - e, dovendo scegliere, si «scartano» le femmine. Urgono «regolamenti più severi» per arginare gli «aborti selettivi», annuncia il governo. Sulla carta le regole già ci sono. Dai primi anni Novanta sono proibite le ecografia per finalità «non mediche», quelle cioè fatte solo per conoscere il sesso del nascituro. Per aggirare il divieto, basta passare una «bustarella» al personale sanitario.

Analoga situazione «sbilanciata» in India. E anche qui, ha sottolineato ieri il Fondo Onu per la popolazione, lo squilibrio tra maschi e femmine aumenta invece di diminuire. Si stima che in India si pratichino 2 mila aborti selettivi al giorno. Tutte donne che «mancheranno» tra vent'anni, quando più maschi dovranno disputarsi un'unica moglie. Già ora si segnalano casi di «poliandria», più uomini (spesso fratelli) che «condividono» la stessa moglie. In crescita, sia in India che in Cina, la compravendita delle ragazze in età da marito e l'«importazione» di mogli da paesi confinanti. Il censimento del 2001 aveva registrato picchi di squilibrio di genere (800 ragazze contro 1.000 ragazzi) in Punjab, Gujarat, Haryana, Himachel Pradesh e persino a New Delhi. Che la capitale figuri tra le zone a massima rarefazione femminile conferma che gli aborti selettivi non sono soltanto un retaggio del passato, traduzione moderna dell'infanticidio, fenomeno delle aree rurali arretrate. Anche le donne «emancipate» delle borghesia urbana «scartano» le figlie femmine. L'onerosa dote, che in India va assegnata alle figlie che vanno ad «annaffiare il giardino» della famiglia dello sposo, è un molla potente per preferire il figlio maschio. Ma non spiega tutto.

Quando una merce scarseggia, il suo valore aumenta. Questa legge del mercato non vale per le donne. Dovrebbero essere riverite e coccolate. Invece sia in Cina che in India l'indice di mortalità tra le bambine da zero a cinque anni supera di molto quello dei coetanei maschi. La spiegazione è semplice: le bambine vengono alimentate e curate meno dei bambini. Altro segnale d'infelicità femminile: in Cina, il paese con il più alto tasso di suicidi, le donne si uccidono più degli uomini (sia in percentuale che in cifra assoluta).

Tra i dati forniti dalle autorità cinesi spicca il caso limite della città di Lianyungang: 160 fiocchi azzurri, ogni 100 rosa (la media mondiale è di circa 105 maschi ogni 100 femmine). E meno male che Ju Hintao vuol costruire la società «armoniosa».

(il manifesto, 1.9.07)

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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Sciopero generale, subito!

Stop agli omicidi del profitto! Blocchiamo per un giorno ogni attività. Fermiamo la mano assassina del capitale. Organizziamoci nei posti di lavoro in comitati autonomi operai con funzioni ispettive. Vogliamo uscire di casa... e tornarci!

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