24.7.07

 

La globalizzazione nelle voci delle donne

Discriminazioni. Esistono ancora troppe violenze domestiche, stupri etnici e condizioni di lavoro non favorevoli. Europa compresa. Meeting Il mondo femminile e la cittadinanza di genere si racconta in un incontro internazionale. (Eleonora Martini)

A San Rossore, per la seconda e conclusiva giornata del meeting internazionale promosso dalla Regione Toscana, a prendere la parola davanti a una platea quasi tutta - troppo - al femminile, sono donne di potere e delle istituzioni democratiche, ministri e parlamentari, come l'indiana Renuka Chowdhury e la sua omologa italiana Barbara Pollastrini. Ci sono la sindaca di San Salvador, Violeta Menijivar, ex guerrigliera del Fronte di liberazione popolare Farabundo Martì, e la deputata cilena Carolina Tohà Morales. C'è, applauditissima, Aminata Traoré, ex ministro della cultura del Mali e fondatrice del Social forum africano che ha lanciato il suo duro attacco contro «la globalizzazione neoliberista, il G8, le multinazionali e la corruzione dei governi africani». E poi l'ambientalista e economista indiana Vandana Shiva e la filosofa femminista Tamar Pitch.

Ma l'unica a ricevere ieri una standing ovation dal folto pubblico del meeting è stata Malalai Joya, la deputata ventinovenne afghana, sospesa «illegalmente» dal parlamento nel maggio scorso per aver denunciato pubblicamente la corruzione di un organo nel quale siedono 24 membri di gang criminali, 17 trafficanti di droga, 19 uomini accusati di crimini di guerra. «Questo parlamento è peggio di una stalla», aveva dichiarato in un'intervista a una tv locale e da allora Malalai Joya - già scampata dal 2003 a quattro attentati - è costantemente minacciata, costretta a cambiare letto ogni notte, a portare il burqa e girare scortata, e contro di lei è stata messa in atto una vera e propria campagna pubblica denigratoria a colpi di «infedele», «prostituta» e «comunista». Ieri Joya ha accusato direttamente Bush di aver dato il via libera alla sua eliminazione e di appoggiare criminali che rendono la vita delle donne afghane indegna di «essere chiamata umana». «Non so quanti giorni ho ancora da vivere - ha detto commuovendo la platea - ma vi chiedo di non far tacere la nostra voce nemmeno quando sarò stata uccisa». Parole che hanno convinto il governatore della Regione Claudio Martini, da sempre «sostenitore di chi, come Emergency, sta dalla parte delle vittime», a scrivere subito a Prodi chiedendo di «garantire la sicurezza e l'incolumità di Malalai Joya, anche attraverso l'impegno dei nostri servizi di intelligence presenti in Afghanistan».

Ma sotto il tendone Circus montato nel mezzo dell'ex tenuta presidenziale di San Rossore per l'edizione che ha affrontato il tema Bambini e donne, affermare i diritti, esaltare i talenti, avanzare nell'agenda del millennio, sono arrivate anche le voci di donne africane, bosniache, iraniane, americane. E hanno raccontato un mondo femminile ancora flagellato da tratta e riduzione in schiavitù, da stupri etnici, violenza domestica e omicidi (una donna ogni otto minuti viene uccisa sul pianeta, soprattutto per mano di parenti, come ha spiegato Josè Sanmartin, direttore del centro spagnolo per lo studio della violenza Santa Sofia). E ancora mutilazioni, Aids e aborti selettivi (200 milioni di donne eliminate, una cifra pari alle vittime di tutte le guerre del XX secolo). Al pari, l'occidente e l'Europa non fanno eccezione soprattutto per quanto riguarda la violenza familiare e la discriminazione nel mondo del lavoro. In particolare l'Italia, dove la disuguaglianza salariale di genere è tra le più alte dell'occidente, l'occupazione femminile è ferma al 46% , mentre nel nord Europa sta al 75% e negli obiettivi di Lisbona è fissata al 60% entro il 2010. Senza parlare poi della inaccessibilità alle alte cariche, ai posti dirigenziali e di potere, alla rappresentanza politica e istituzionale.

Ma il dato più scioccante, come ha sottolineato la ministra delle pari opportunità Pollastrini, sta nella violenza fisica e sessuale subita soprattutto in casa e che colpisce in Italia una donna su tre, secondo i dati presentati dalla ginecologa Alessandra Kustermann, del Centro soccorso di Milano. Circa il 65% ha subito abusi e il 59% ha assistito a quelli sulla propria madre. Ma il 96% di loro non denuncia. Nel bel paese c'è un omicidio in famiglia ogni due giorni e in sette casi su dieci la vittima è donna.

Su questi punti hanno lavorato i gruppi tematici stilando un secondo documento finale da portare all'Onu a dicembre che in cinque capitoli chiede di agire prima di tutto nella lotta alla violenza. E di avanzare concretamente nelle pari opportunità della rappresentanza e delle nomine, affermando i diritti e esaltando i talenti. Di promuovere il lavoro femminile e produrre leggi regionali sulla cittadinanza di genere.

L'appuntamento ora è per l'anno prossimo quando il meeting internazionale sarà centrato su antirazzismo, diversità e migrazioni. Un tema scelto in seguito a una recente scoperta storica secondo la quale le leggi razziali del 1938 firmate da Mussolini e da Vittorio Emanuele furono scritte almeno in parte proprio qui, nella villa Gombo della tenuta di San Rossore. «A 70 anni esatti da quella data - ha annunciato Claudio Martini - costruiremo l'occasione di ribaltare la Storia, per lanciare da questo stesso posto le ragioni della memoria e per riuscire a capire quanto dobbiamo e possiamo ancora fare perché quello che è avvenuto sotto il fascismo non si ripeta più».

(il manifesto, 21.7.07)

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17.7.07

 

Istat: 74% di divorzi in più in soli 10 anni

Sulla base dei dati centrali dell'indagine ISTAT è emerso che i fenomeni delle separazioni e dei divorsi sono fortemente aumentati nell'ultimo decennio. Se nel 95 su 1000 matrimoni si verificavano 158 separazioni e 80 divorzi, a distanza di 10 anni le separazioni sono salite a 272 e i divorzo a 151 ogni 1000 matrimoni.

Rispetto al 1995, segnala l'ISTAT le separazioni hanno avuto un incremento del 57,3% e i divorzi del 74%.

E a quanto pare il ricorso alla separazione o al divorzio non è una tendenza uniforme su tutto il territorio delo stato. Ci si separa di più al nord e la Liguria sembra avere il primato collocandosi in testa nella classifica tra le diverse regioni.

Un'altro dato significativo è che il 14,6% delle separazioni avviene con addebito al marito e il 3,5% con addebito alla moglie. Mentre sembra che le coppie del Nord ricorrono più spesso alla separazione consensuale.

Le crisi di coppia inoltre non riguardano solo matrimoni di breve durata, anzi, sempre più spesso ci si separa anche dopo unioni molto lunghe.

Se nel 1995 le separazioni di chi era sposato da più di 24 anni era corrispondente all'11,3% nel 2005 la percentuale è aumentata fino al 14,8% delle separazioni. Diminuita invece la percentuale di chi si separa prima del quinto anniversario di matrimonio.

Sempre nel 2005 il 70,5% delle separazioni e il 60,7% dei divorzi hanno interessato coniugi con figli e si è registrato che l'affidamento esclusivo dei minori alla madre e' stato prevalente (80,7% di casi con figli affidati alla madre). Anche l'abitazione familiare resta nella maggior parte dei casi alla donna e a staccare l'assegno di mantenimento è quasi sempre l'uomo.

(Data: 16/07/2007 - Autore: Roberto Cataldi - Fonte: studiocataldi.it)

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15.7.07

 

"L'Italia un paese di veline, le donne sono solo oggetti"


L'accusa del Financial Times: "Dimenticato il femminismo". Per il giornale sono trattate peggio solo a Cipro, Egitto e Corea (Enrico Franceschini)

Fin dal titolo, è un'accusa senza mezzi termini: "La terra che ha dimenticato il femminismo", sovraimpresso sul noto cartellone pubblicitario di Telecom Italia in cui Elisabetta Canalis, seduta a gambe incrociate con un telefonino in mano, piega il busto in avanti, in una posizione non proprio comodissima, rivelando una generosa scollatura. E' la copertina dell'inserto patinato del Financial Times di ieri, che in un articolo di quattro pagine denuncia severamente il trattamento riservato alle donne nel nostro paese: l'uso di vallette seminude in ogni genere di programma televisivo, gli spot pubblicitari dominati da allusioni sessuali, il prevalere della donna come oggetto, destinata a stuzzicare "i genitali dell'uomo, anziché il cervello". Non solo: secondo l'autore del servizio, Adrian Michaels, corrispondente da Milano dell'autorevole quotidiano finanziario, potrebbe esserci un legame fra l'onnipresenza di maggiorate in abiti discinti sui nostri mezzi di comunicazione e la scarsità di donne ai vertici della politica, del business, delle professioni in Italia.

Arrivato a Milano tre anni fa da New York insieme alla moglie, Michaels ammette di essere rimasto stupefatto dal modo in cui televisione e pubblicità dipingono le donne; e ancora più sorpreso dal fatto che apparentemente nessuno protesta o ci trova qualcosa di male. Come esempi del fenomeno, oltre al cartellone della Canalis per la Telecom, cita le vallette del gioco a quiz di Rai Uno L'eredità, la pubblicità dei videofonini della 3, le vallette di Striscia la notizia, l'abbigliamento della presentatrice sportiva Ilaria D'Amico di Sky Italia.

L'articolo considera quindi una serie di dati da cui risulta che le donne italiane sono fra le più sottorappresentate d'Europa nelle stanze dei bottoni: il numero delle parlamentari, 11 per cento, è lo stesso di trent'anni fa; nelle maggiori aziende italiane le donne rappresentano solo il 2 per cento dei consigli d'amministrazione (rispetto al 23 per cento nei paesi scandinavi e al 15 negli Stati Uniti); e un sondaggio internazionale rivela che la presenza di donne in politica, nella pubblica amministrazione e ai vertici del business è più bassa che in Italia soltanto a Cipro, in Egitto e in Corea del Sud. "La mia sensazione è che il femminismo, dopo importanti battaglie per il divorzio e l'aborto, da noi non esista più", gli dice il ministro Emma Bonino, interpellata sul tema.

Altri fattori aumentano le difficoltà delle donne ad avere una diversa posizione sociale, osserva il quotidiano londinese: il lavoro part-time è raro in Italia (15 per cento della forza lavoro rispetto al 21 in Germania e al 36 in Olanda), cosicché le donne che cercano di giostrarsi tra famiglia e carriera sono spesso costrette a scegliere l'una o l'altra. L'articolo ricorda un discorso del governatore della Banca d'Italia Draghi secondo cui il nostro è uno dei paesi europei in cui meno donne tornano all'occupazione dopo la maternità.

Un altro motivo è che gli orari dei negozi ("impossibile fare la spesa il lunedì mattina, il giovedì pomeriggio, la sera e la domenica") complicano la vita della donna che lavora, su cui continua comunque a pesare la responsabilità di casa. La lettera di Veronica Berlusconi pubblicata da Repubblica, in cui chiedeva le pubbliche scuse di Silvio per il suo comportamento con le donne, potrebbe segnalare l'inizio di un cambiamento, ipotizza Michaels. Ma uno dei pubblicitari da lui intervistati avverte: "L'Italia è indietro nel modo in cui sono trattate le donne rispetto ad altri paesi, ma abbiamo un metro per giudicare cos'è accettabile diverso dal vostro. Gli uomini e le donne italiani non saranno mai come gli uomini e le donne britannici".

(Repubblica.it, 15.7.07)

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14.7.07

 

Addio ai Dico, arrivano i Contratti di unione solidale


Coppie di fatto Il ddl presentato dal presidente della commissione Giustizia Salvi. La Cdl:«Inaccettabile» (C. L.)

Cambia il nome, ma cambia soprattutto la sostanza. I vecchi Dico - pensati e subito abbandonati dal governo Prodi - vanno definitivamente in soffitta per essere sostituiti dai Contratti di unione solidale. Il disegno di legge, preparato dal presidente della commissione Giustizia del Senato Cesare Salvi è stato presentato ieri al comitato ristretto della commissione ed è una sintesi delle proposte finora avanzate dai vari schieramenti. Rispetto al testo Bindi-Pollastrini, i Cus offrono maggiori aperture e garanzie alle coppie di fatto, composte anche da persone dello stesso sesso, prevedendo la stesura di un contratto che stabilisce diritti e doveri della coppia e l'istituzione di un registro nazionale delle unioni solidali. Nelle prossime settimane la commissione Giustizia comincerà l'esame del testo, frutto di un lavoro di cesello fatto da Salvi che non ha mancato di raccogliere riconoscimenti tra le file dell'opposizione, anche se il centrodestra si è già detto contrario a ogni ipotesi di quella che ha definito la «famiglia-fai-da-te».

A stipulare i nuovi Cus sarà il giudice di pace, e non più l'anagrafe come prevedevano i Dico, di fronte al quale la coppia si vedrà riconoscere una serie di diritti, come la possibilità di assistere il convivente in ospedale (che invece i Dico subordinavano alla discrezionalità della strutture sanitarie) o l'eredità, seppure con l'obbligo di attendere nove anni dal giorno dell'unione. Se diventeranno legge, i Cus potranno essere sottoscritti da tutti i maggiorenni che non siano sposati o parenti, né condannati per omicidio di un coniuge o un convivente. Per farlo sarà sufficiente una dichiarazione congiunta di fronte al un giudice di pace che provvederà alla trascrizione del contratto in un registro nazionale entro 15 giorni dalla stipula. Volendo la coppia può decidere per la comunione dei beni, purché sia indicato nel contratto. I Cus permettono inoltre di assistere il proprio partner nel caso si trovi in carcere o in ospedale, riconoscendogli gli stessi diritti previsti per un parente di primo grado, ma anche la possibilità - in caso di incapacità di intendere e di volere - di prendere tutte le decisioni riguardanti lo stato di salute, compresa la donazione degli organi. Stessa cosa in caso di trattamento del corpo e funerali, ma solo nel caso non ci siano discendenti diretti maggiorenni. Sempre in caso di morte la casa può restare al partner, che avrà diritto anche all'eredità, ma solo dopo nove anni dalla registrazione dell'unione. La quota spettante sarà pari a un quarto del patrimonio nel caso in cui la persona deceduta abbia parenti di primo grado, la metà se ci sono parenti fino al sesto grado o l'intera somma in tutti gli altri casi. Per quanto riguarda la reversibilità della pensione, invece, come per i Dico anche i Cus rimandano la questione al riordino della materia previdenziale.

«Spero che intorno al testo si formi un ampio consenso parlamentare - ha spiegato Salvi - C'è un testo base, preparato sulla base del ddl presentato dal senatore Biondi, su cui ognuno potrà presentare emendamenti per migliorarlo». «E' molto positivo - ha commentato invece Franco Grillini, deputato della Sd e presidente onorario dell'Arcigay - che si sia riaperta la discussione sui diritti delle coppie di fatto e di quelle dello stesso sesso». Apprezzamenti al testo sono arrivati, oltre che da Biondi (Fi), anche dal segretario della Dc Rotondi. Sperare in un approccio non ideologico dell'opposione alle nuove norme sembra però impossibile. I Cus sono già stati bocciati dal portavoce dei Forum famiglie Savino Pezzotta, che li ha paragonati a un «simil.matrimonio», mentre la Cdl li ha definiti «inaccettabili» come i Dico.

(il manifesto, 13.7.07)

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5.7.07

 

Il flop della 40 dati alla mano


Meno gravidanze, più parti a rischio. La legge sulla procreazione assistita non funziona. Lo dice L'Istituto di sanità. (Cinzia Gubbini)

Meno bambini ma anche più rischi per le donne e i nuovi nati nonché più insuccessi, con aborti spontanei e morti intrauterine. Risultati pessimi dopo tre anni di applicazione della legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. A dirlo sono i dati dell'Istituto superiore di sanità (Iss), i primi da quando la legge per «mettere fine al Far west» - secondo lo slogan coniato dal governo Berlusconi - ha iniziato a funzionare. Ieri il ministro alla Salute Livia Turco ha inviato la sua relazione al parlamento. Forte delle percentuali inattaccabili distribuite dall'Iss, il giudizio del ministero è secco: «Mi auguro che continui una riflessione rigorosa e sobria sulla legge, a tre anni dalla sua applicazione, a partire dagli esisti dell'applicazione delle tecniche». Insomma, secondo il ministro - che pure evita di scendere nell'arena dei favorevoli o dei contrari alla legge 40 - poiché la legge non funziona, bisognerebbe agire di conseguenza. Modificandola? Ieri si sono creati di nuovo i due noti fronti: chi è favorevole a cambiarla e chi no. Ma con una significativa differenza: a destra - tranne rare voci, come quella della deputata di Forza Italia Chiara Moroni - non ci sono più le aperture che anche autorevoli esponenti dell'allora maggioranza mostravano quando si trattava di invitare le persone a disertare il referendum per l'abrogazione della legge 40, promettendo che - in seguito - si sarebbe aperta una discussione in parlamento. A favore di una modifica della legge - e non soltanto delle sue linee guida - sono scesi in campo ieri il Prc, i Verdi, ma anche l'Italia dei Valori e qualche sparuta voce dei Ds. Tutti invitano a un «confronto» con l'opposizione, se non altro per i voti risicatissimi al senato, anche se non tira aria di collaborazione. La destra ora difende a spada tratta la legge, promette barricate per impedirne «lo smantellamento» e accusa il ministero di voler dare una lettura «ideologica» dei dati.

Eppure la relazione si basa su puri numeri: diminuiscono le gravidanze e aumentano i parti plurimi, un dato in controtendenza rispetto al resto d'Europa. Fare un confronto con l'ultima relazione dell'Iss - risalente al 2003 - è complicato perché allora operavano soltanto 120 centri, che oggi sono saliti a 330. In termini percentuali la diminuzione delle gravidanze è pari a 3,6 punti, ovvero 1.041 gravidanze in meno. Ma la sinfonia non cambia confrontando i risultati ottenuti in 96 centri operanti già nel 2003. Anche in questo caso è evidente una diminuzione di efficacia delle tecniche di procreazione assistita: in questo caso il calo di gravidanze è del 2,6%. Secondo il ministero non c'è dubbio su chi sia il colpevole: la legge 40. Ma come? La legge sulla procreazione da un lato impone un limite alla produzione di embrioni (tre), dall'altro obbliga a impiantare tutti quelli che si formano. Cosicché da una parte si osserva un aumento (13,7% nel 2003, 18,7% nel 2005) di tentativi di gravidanza effettuati con un solo embrione. Una tendenza determinata dalla impossibilità di produrne di più, e non dalla valutazione del medico in base alle caratteristiche della donna. D'altro canto nel 2005 ben l'80% delle fecondazioni è avvenuta trasferendo più di un embrione. Nel 50,4% dei casi ne sono stati trasferiti tre, come da obbligo di legge. Ciò ha determinato un'impennata dei parti plurimi, più a rischio tanto per le donne che per i bambini: nel 2003 erano pari al 22,7%, nel 2005 erano invece 24,3%.

Ma ci sono anche altri elementi che emergono dalla relazione dell'Istituto. Ad esempio l'aumento delle gravidanze che non vengono portate a termine: erano il 23,4% nel 2003, sono passate al 26,4% nel 2005. Anche questo elemento, spiega la relazione, è determinato dall'obbligo a impiantare tutti gli embrioni prodotti. L'Istituto punta il dito anche sull'attuale stato dei centri della fecondazione: è vero che ce ne sono parecchi, ma spesso operano soltanto pochissimi interventi. Secondo il ministero «è necessario migliorare la qualità dei servizi da offrire alle coppie, giacché l'esperienza nell'applicazione delle tecniche riveste un ruolo determinante». Allo stesso modo, esiste una disomogeneità territoriale tra nord e sud nella distribuzione dei centri, causa principale della cosiddetta «migrazione» da regione a regione. Senza contare la «migrazione» all'estero dove, secondo la relazione, le coppie italiane si trasferiscono non soltanto per usufruire di leggi più aperte, ma anche per ottenere migliori risultati.

(il manifesto, 3.7.07)

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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Sciopero generale, subito!

Stop agli omicidi del profitto! Blocchiamo per un giorno ogni attività. Fermiamo la mano assassina del capitale. Organizziamoci nei posti di lavoro in comitati autonomi operai con funzioni ispettive. Vogliamo uscire di casa... e tornarci!

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