29.5.07

 

25 maggio: i padroni "fanno la festa" alle mamme lavoratrici!


Sembra che sia scoppiata in questi ultimi mesi una strana epidemia che si sta allargando via via di ambito in ambito: dai rappresentanti del governo ai padroni della Confindustria, dai sindacati istituzionali agli enti locali, tutti oggi appaiono molto impegnati a parlare di donne e lavoro, di occupazione femminile in Italia, riempiendo con ricche interviste intere pagine dei quotidiani su come superare i limiti che ostacolano una maggiore introduzione delle donne nel mondo del lavoro. Da Prodi, quindi, al ministro del lavoro Damiano, da Montezemolo fin’anche al governatore della Banca d’Italia, forte è l’appello di tutti a trovare al più presto le misure necessarie per risolvere il problema dell’incremento del lavoro femminile, soprattutto dinanzi agli allarmanti dati forniti proprio di recente dallo stesso governatore Draghi secondo cui le donne nel nostro paese hanno un tasso di occupazione di 11 punti più basso della media europea con rilevanti differenze sul piano salariale rispetto agli uomini, il cosiddetto gender-gap tecnicamente parlando. Perché mai tutta questa sollecitudine? ci chiediamo, e chi viene a toglierci decisamente ogni dubbio in proposito e a chiarirci bene le idee è senz’altro la ministra per le pari opportunità Barbara Pollastrini che ha addirittura parlato di “Cura Shock!!!” in un’intervista rilasciata al Sole 24 ore del 29 Marzo scorso, e ribadita con un'altra intervista sempre sul giornale della Confindustria del 18/4/07, per sanare il problema del lavoro femminile e della condizione delle donne lavoratrici nel nostro paese.

Una vera e propria “terapia d’urto”! la chiama l’improvvisata dottoressa Pollastrini fatta, ad esempio, di proposte come il salario d’ingresso per le donne o di investimenti in asili nido nelle aziende e nelle fabbriche.

Urto sì ma contro le donne! diciamo noi. Salario d’ingresso significa salario più basso, almeno due livelli retributivi inferiori, pur svolgendo le stesse mansioni di un altro lavoratore, significa contratti di inserimento comunque a termine, significa sancire ancora una volta, altro che cancellare da parte del governo!, la legge Biagi e la sua vergognosa e spietata logica di precarietà e discriminazione che stabilisce che tutte le donne sono “soggetti svantaggiati”, con grande piacere dei padroni che a fronte dei vantaggi di pagare salari inferiori con conseguenti sgravi contributivi (150 euro almese per le aziende che assumono al sud, continua a vantarsi la Pollastrini sul sole24ore del 18/4/07), si sentiranno ancora una volta più liberi di ricattare odiosamente le lavoratrici, le operaie, le precarie che già purtroppo in tanti posti di lavoro subiscono discriminazioni di ogni sorta, mobbing, molestie sessuali, fino a vere e proprie violenze pur di non perdere il posto di lavoro.

Ma andiamo alla seconda misura lanciata dalla Pollastrini, quella degli investimenti sugli asili nido aziendali, in piena continuità, possiamo ben dire, con la ex ministra del precedente governo di centrodestra Prestigiacomo: dietro il velo emancipatorio della proposta, perché potrebbe sembrare favorevole per le donne con figli piccoli a far sì che la maternità non freni la loro possibilità di lavorare, si nasconde in realtà il chiaro intento di mantenere ben saldo il legame tra le donne lavoratrici e la famiglia di cui devono portare nella maggior parte dei casi tutto il peso della gestione, misura alla quale si affianca perfettamente anche quella dell’altra paladina di turno a difesa delle donne, la ministra per il Commercio Estero Emma Bonino, che dal canto suo propaganda il telelavoro nel futuro delle donne “…il 30% delle mansioni potrebbe essere spostatodall’ufficio al computer di casa con beneficio di tutti…” (Sole 24 ore del20 marzo 2007) ma a carico di chi? solo e solo della donna s’intende! (ci viene subito in mente, attualizzata, la nota vignetta che denuncia l’oppressione della donna disegnandola mentre con la mano destra stira, con la sinistra scrive al computer e con il piede dondola la culla). Le donne invece di trovare nel lavoro una forma di indipendenza anche ideologica dalla famiglia, in questo modo devono portarsela dietro anche in azienda, in fabbrica, nel posto di lavoro, figuriamoci se addirittura non escono più fuori da casa! Nella maggior parte dei casi, pur continuando ad occuparsi delle faccende domestiche anche se lavorano fuori, oggettivamente, proprio perché hanno un lavoro, le donne sono spinte ad occuparsi meno della famiglia, dei servizi domestici, a considerarli meno prioritari e ciò è un fatto rilevante per la difficile battaglia per l’emancipazione delle donne.

Altro che festa delle mamme che lavorano! Che dovrebbero apprezzare la tredicesima edizione di questa “festa”, che si terrà il 25 maggio, lanciata dal Sole24Ore e Corriere della sera perché già tanto apprezzata dalla Pollastrini che la ritiene “una bellissima iniziativa”.

Ogni tentativo di rafforzare il legame delle donne con la famiglia, anche quando si può presentare come emancipatorio, è in realtà contro di esse e ne rafforza l’oppressione in un sistema sociale capitalista che fa della famiglia la cellula base per la sua esistenza e conservazione.

Dietro le nuove formule di “cura d’urto/cura schock” anche questo governo, al servizio dei padroni, vuole in realtà perpetuare per le donne una condizione di doppia oppressione che riserva loro, in particolare a quelle appartenenti alle classi sociali più disagiate, solo mezzi lavori, mezzi salari, mezzi diritti fino a quando sono utili al sistema capitalista, ma che lo stesso sistema spietatamente butta in strada quando non servono più.

Il passaggio dalla fabbrica alla strada in molti casi è diventato“naturale”, è il caso grave di tante ex lavoratrici, ex operaie, tra cui molte donne immigrate sfruttate fino all’osso, che di punto in bianco si sono ritrovate senza più lavoro, o che avevano mollato perchè distrutte nelle fabbriche dagli infernali ritmi di lavoro, alle quali non è rimasta altra via d’uscita che il marciapiede dove svendersi spesso anche per pochi soldi.

Ma tutto ciò è reso ancora più chiaro dalle ulteriori affermazioni della Pollastrini che facendosi vera e propria portavoce della generale sollecitudine volta alla “ricerca di soluzioni” per la complessa questione donne/lavoro spiega a cosa si mira realmente: “… Il differenziale tra uomini e donne rende aleatoria la ripresa italiana, non permette di rendere stabile la crescita e di rilanciare la competitività…” dice la ministra e aggiunge “… noi non siamo solo all’ultimo posto per tasso di occupazione femminile, siamo anche maglia nera per tasso di maternità…” Ecco, allora, il vero motivo della corsa frenetica di tutti, governo, padroni, istituzioni, a discutere, a riunirsi, a studiare, ingaggiando consulenti del lavoro specialisti per trovare misure, soluzioni, programmi adatti: più donne oggi costituiscono più forza-lavoro necessaria al mercato, alla crescita economica del paese, nuova carne fresca da sfruttare per i padroni tra gli ingranaggi delle macchine per aumentare al massimo i profitti in cambio di salari minimi. Ma le donne, in particolare le proletarie, le più disagiate economicamente, sono anche quelle che mentre si caricano della cura dei lavoratori attuali (i mariti, i figli o i fratelli) devono anche mettere al mondo figli e per questo vanno incentivate. Produttrici di altro profitto per i padroni e riproduttrici di nuove braccia per il sistema, di futuri lavoratori, di futuri operai da sfornare per essere preparati poi “al consumo” che la borghesia, di cui i governi, ora di sinistra ora di destra, ne sono lo sporco comitato di affari, ne vorrà fare fisicamente, intellettualmente, moralmente, politicamente. CONTRO TUTTO QUESTO È GIUSTO E NECESSARIO RIBELLARSI!

E proprio dalle donne, dalle operaie, dalle lavoratrici deve venire la risposta più radicale.

Noi che doppiamente siamo attaccate e sfruttate da questo sistema, doppiamente dobbiamo lottare per rovesciarlo organizzandoci e in questo la nostra lotta interpreta la necessità oggettiva di tutte le donne di lottare contro l’oppressione in cui governo, padroni, Stato ci vogliono sempre più cacciare.

* dal Foglio mfpr maggio 2007

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7.5.07

 

Se potessi avere 3mila euro al mese


Dal rapporto parlamentare sulla famiglia emerge inoltre che i figli nascono sempre di più fuori dal matrimonio. E quando crescono non se ne vogliono andare. Alle donne tutte le incombenze. Oltre al lavoro mancano servizi e scarseggiano investimenti pubblici (Cinzia Gubbini)

Di fatto è la prima indagine conoscitiva sulle condizioni sociali della famiglia in Italia. Se ne è incaricato il parlamento, attraverso la commissione Affari sociali della Camera, presieduta da Mimmo Lucà (Margherita), che il primo agosto 2006 ha dato il via ai lavori. Un viaggio affascinante, quello presentato ieri, attraverso un paese che ha cambiato faccia negli ultimi dieci anni. Mutazioni che si riflettono - come è normale - anche sulla forma famiglia. Obiettivo: stabilire «una nuova e più efficace iniziativa del parlamento sulle politiche famigliari», come ha spiegato Lucà, precisando che «non stiamo improvvisando una qualche assunzione di responsabilità in vista di eventi politici o mediatici». Leggasi Family Day e il convegno dell'Ulivo a Firenze sulla famiglia. Tuttavia, si glissa con eleganza sulle coppie omosessuali - citarle in quel contesto non era necessario, ma che non scappi detto neanche una volta fa pensare - mentre quelle di fatto sono le «non coniugate». Ma bastano i dati a parlare chiaro: stanno crescendo, ed è al di fuori del matrimonio che nascono i primi figli. Cosa propone l'Unione? Da una parte politiche di detassazione per favorire le famiglie (anche nel pagamento delle bollette), ma anche un intervento serio sul lavoro e la precarietà. E poi: sostenere il desiderio di maternità e paternità (pare che «le coppie italiane hanno un figlio in meno di quello che desidererebbero»), ma anche l'autonomia dei giovani. Si parla di reddito minimo di inserimento, di modifica dei parametri Isee (penalizza le famiglie più numerose) ma anche di «risolvere il disagio abitativo per le giovani coppie».

Famiglia più lunga, più magra. Dal 1998 al 2003 in Italia le coppie con figli sono diminuite di 1 milione (da 10,5 a 9,6) mentre le coppie senza figli sono aumentate della stessa quantità (da 3,9 a 4,9 milioni). In particolare diminuiscono le famiglie con 5 o più componenti dall'8,4% al 6,5% tra il 1994-1995 e il 2004-2005. Contemporaneamente crescono nuovi modelli familiari: tra i single non vedovi, le coppie di fatto o ricostruite e i genitori soli arriviamo a 5 milioni e 200 mila famiglie nel 2005, cioè il 23% del totale. Sono sempre di più, inoltre, i bambini che nascono fuori dal matrimonio: tra il '95 e il 2004 è aumentata del 70%. Se i bambini hanno meno fratelli e cugini, hanno però, più nonni e bisnonni. La famiglia, infatti, si «allunga», perché si invecchia di più. L'Italia è il paese europeo che cresce in modo rapido e aumentano i «grandi vecchi» (oltre 80-85 anni).

Madre e figlia. Tale condizione ricade sulle spalle delle donne. Sono loro, in Italia, che continuano a svolgere una funzione di assistenza, sia rispetto ai bambini che rispetto agli anziani. Il 77% del tempo complessivamente dedicato al lavoro famigliare è ancora a carico della donna. Mentre, secondo dati Istat, il tempo dedicato dai padri al lavoro familiare nel corso della giornata è cresciuto di 16 minuti in quattordici anni. Di conseguenza, in Italia, le donne che fanno figli escono con facilità dal mercato del lavoro (accade a 1 su 5 al primo figlio) o scelgono di passare a un'attività meno redditizia. Ma la famiglia è anche il luogo in cui le donne subiscono più spesso violenza: la subisce il 10-12% della popolazione femminile.

Il lavoro: croce e delizia. Senza lavoro, salario e benessere, non si mette su famiglia. Fare figli costa: il mantenimento di un figlio con meno di sei anni accresce i costi della coppia senza figli del 19,4%. Questo, a fronte dei 1.800 euro che guadagnano il 50% delle famiglie. Ma il fenomeno è antitetico: da un lato sono pressanti i temi riguardanti disoccupazione e precarietà. Dall'altro le audizioni della commissione hanno evidenziato una eccessiva centralità del lavoro rispetto ad altri aspetti famigliari, come la cura delle relazioni. Ma è di nuovo il ruolo della donna ad essere una cartina di tornasole: il tasso di occupazione femminile (45,2%) è di gran lunga inferiore alla media europea (60%). Senza considerare che la precarietà - che non concede coperture durante la maternità - affligge maggiormente le donne, le quali oltretutto continuano a percepire redditi inferiori a quelli degli uomini. Eppure, come dimostra la Francia, una maggiore occupazione femminile può legarsi a una maggiore natalità: l'81% delle francesi tra i 25 e i 49 anni ha un'occupazione, ma sono anche quelle che hanno incrementato in modo più significativo le nascite.

La sindrome del rinvio. Altra caratteristica delle famiglie italiane, che le differenzia da altri paesi europei, è il fatto che i figli restano a lungo con i genitori. I giovani celibi e nubili tra i 25 e i 34 anni che continuano a vivere nella famiglia di origine erano il 35,5% nel '95 e sono diventati il 43,3% nel 2005, superando la quota dei loro coetanei che vivono in coppia con figli. In effetti, si fanno figli tardi: l'età media delle madri residenti in Italia alla nascita dei figli è stata di 30,08 anni nel 2004. In Europa il primo figlio nasce mediamente tra i 26 anni e mezzo e trent'anni. Le cause? Difficoltà ad accedere a un lavoro stabile e a reperire un alloggio.

Nord e sud, vicini ma lontani. Altra caratteristica delle condizioni socio-economiche italiane: continuano a essere molte le differenze tra nord e sud. Intanto, oltre il 70% delle famiglie povere con figli risiede al sud, dove è anche più concentrata la disoccupazione e più carente è la rete dei servizi. Anche questi elementi potrebbero spiegare come mai anche il dato dell'instabilità coniugale vede una differenza nord-sud. Separazioni e divorzi aumentano, ma meno che nel resto d'Europa (un quarto a fronte del 40-50% di quelli contratti nell'Europa del nord). Come ha osservato la sociologa Chiara Saraceno nella sua audizione: «Ciò non è dovuto al fatto che al sud i matrimoni sono migliori, ma al fatto che l'occupazione femminile è molto minore».

(il manifesto, 4.5.07)

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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